04/01/2015 - Lettera sul lavoro di Emilio Vergani

formiche n"Carissimo amico mio,

ti scrivo nell'ora del tramonto, quando la polvere illuminata dai deboli raggi del sole sfavilla davanti alla mia finestra.

Spero che tu stia in salute e che il sorriso dimori sempre sulle tue labbra.

Nella tua ultima lettera mi scrivi lamentandoti del lavoro che ti occupa i giorni, della fatica e della stanchezza che prende le mani e gli occhi.

Conosco bene tutto questo, credimi, nella vita non ho fatto altro che lavorare.

Passai per giunta molti anni lontano da casa, sperduto nelle capitali d’Europa, e tuttavia in quel  tempo imparai, come cantava Majakovskij, a innamorarmi sotto il cielo delle bettole dei papaveri dipinti sui bricchi di maiolica.

Sei padrone di non credermi, eppure furono anni densi, durante i quali appresi che il lavoro, lungi dall’essere solo sforzo e sacrificio, porta con sé anche un significato incandescente che ha temprato la storia delle genti e dei Paesi.

Dirai certo che sono pazzo a pensare queste cose, tuttavia ritengo che chi riesce a far suo quel significato ne ricaverà sempre grande ricchezza, e sai perché?

Perché chi lavora davvero, da qualsiasi latitudine provenga, ha la mappa dei suoi giorni trascritta nel volto; perché il lavoro ci fa levare prima dell’alba e ci toglie il sonno, che però qualche volta genera mostri; perché grazie al lavoro la natura coincide con la cultura e la forma con la materia; perché richiede serietà; perché è sempre una “cosa da grandi”; perché la sua festa viene nel mese più bello; perché chi non lavora farà anche all’amore, ma si stanca prima; perché dopo il lavoro viene sempre il riposo; perché ha sempre le sue regole (e se non le ha si chiama schiavitù);  perché pare che l’abbiano inventato le donne; perché il lavoro affila la lama dell’aratro, della sciabola e del bisturi e sta a ciascuno scegliere la sua strada; perché ha la sua morale (ma almeno ce l’ha); perché fa camminare a testa alta e così si può guardare il cielo e sognare; perché si fa sempre pagare; perché non è mai finito, maledizione!; perché senza il lavoro non ci sarebbe mai stata l’arte; perché le religioni sono molte ma il sudore che irriga la fronte ha ovunque lo stesso sapore; perché “in principio era azione”.

E infine perché non è affatto vero che il lavoro rende liberi, amico mio, giacché libero è solo colui che, giorno dopo giorno, non si stanca mai di lavorare su se stesso.

Ti saluto e ti auguro buona fortuna – e non te la prendere se nei miei discorsi un po’ stravaganti mischio sempre verità e stoltezza: così è la vita."

Dal libro “Costruire visioni” di Emilio Vergani

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